Se domandassimo al primo passante che incontriamo “ma cos’è la società?, molto probabilmente lo metteremmo in imbarazzo perché troverebbe banali le risposte che immediatamente gli verrebbero in mente: “l’insieme delle persone”, “il sistema nel quale viviamo”, ecc. Tutte risposte che solleciterebbero altre domande, in una sorta di gioco infantile del “perché”: perché persone e non cittadini?”. Se, al contrario domandassimo al nostro passante: “funziona il sistema di smaltimento dei rifiuti?” oppure “che ne pensa dell’amministrazione pubblica?”, riceveremmo anche troppe risposte. Per quale ragione questa diversa reazione? La risposta non è difficile, appena si abbia la pazienza di pensarci. La ragione consiste nel fatto che noi giudichiamo attraverso la percezione che personalmente abbiamo dei fenomeni sociali nei quali siamo immersi. Anche conoscendo i dati che potrebbero smentire il nostro giudizio ciò che per noi conta è il vissuto quotidiano, l’insieme, cioè, dei fatti nei quali siamo coinvolti e che interpretiamo mediante l’insieme dei nostri interessi, bisogni, desideri. È per questa ragione che la sociologia da quasi un secolo ha focalizzato la sua attenzione sulla vita quotidiana, facendone una specifica branca della disciplina, elaborando metodologie di ricerca fondate sulla partecipazione. Cosa vuol dire? Che gli stessi individui-oggetto della ricerca partecipano alla messa a punto degli strumenti da utilizzare per ottenere la conoscenza perseguita. Così, per fare un esempio, se vogliamo sapere quale sia la condizione sociale degli abitanti di un quartiere definito “a rischio”, non ci si affida soltanto ai dati delle questure o della polizia municipale, ma si coinvolgono gli abitanti del quartiere, perché solo essi potranno dirci come vivono e reputano ciò che dal punto di vista giuridico o politico, viene definito “rischio”. Per questo le cosiddette “ricerche partecipate” diventano strumenti di trasformazione sociale: la conoscenza ottenuta, infatti, per il modo in cui l’ho ottenuta, diventa conoscenza condivisa da cui è possibile progettare soluzioni più praticabili dei problemi individuati. Il senso delle iniziative che in questi ultimi anni – ormai dodici ! – abbiamo intrapreso come Dipartimento ANS della Toscana – dalla manifestazione annuale “Dai un senso alla vita: rispettala!” dedicata agli adolescenti, e costruita insieme agli Istituti Scolastici della città, alla rivista “Società e Comunicazione” che state leggendo – è proprio quello di sollecitare processi di innovazione e cambiamento nei modelli di comportamento secondo un’ottica di “cittadinanza diffusa”. La recente disponibilità dell’Amministrazione Comunale di Viareggio alla utilizzazione di Villa Borbone, se da un lato suona come un riconoscimento prestigioso delle attività sin qui svolte, dall’altra si configura come un’ulteriore possibilità per continuare il nostro impegno di “work in progress”. Ma veniamo agli argomenti dei quali tratta questo numero della rivista. Dopo l’intervista di apertura al Prof. Everardo Minardi, nella quale vengono puntualizzate, in maniera estremamente chiara, le forme di welfare attualmente realizzate nel nostro Paese, il numero si articola – nella sua prima parte – in una serie di interventi relativi al focus monotematico dedicato a “Vecchie e nuove dipendenze”. Le ragioni della scelta del tema sono – almeno a nostro avviso – molte e tutte di estrema attualità e gravità. Nel “mondo delle merci” nel quale siamo confitti, il nostro agire appare sempre più condizionato dai linguaggi dell’advertising su ogni aspetto della vita quotidiana; tutto è acquistabile, perché tutto – compresi i nostri desideri – è trasformato in “bisogno” da soddisfare now . Ma si tratta di bisogni che sono tali solo per la logica del consumo, anzi, che sono creati per sostenere un sistema che non prevede differimenti nel tempo; perché funzioni occorre che l’individuo agisca come consumatore compulsivo di ciò che, in tempi sempre più veloci, viene offerto sul mercato. Da qui la dipendenza che consiste nella nostra trasformazione da cittadini liberi e autonomi in individui etero-diretti da una megamacchina (Latouche) anonima e “misteriosa”. Dopo l’intervento di Andrea Spini che si intrattiene sulla “dipendenza d’amore”, segue Alberto Tassinari e le sue interessanti considerazioni sulla fragilità del nostro sistema di welfare nei confronti dell’assistenza agli anziani, oggi affidata quasi completamente alla figura delle “badanti”. Gianna Maschiti, presenta le criticità di un modello di “carcerizzazione” che – stante l’attuale minore investimento nei progetti di recupero dei “dipendenti dal crimine” – rischia di avvolgersi in una spirale tesa a riprodurre ciò che con il carcere si sarebbe dovuto risolvere. Segue Emma Viviani che, in coerenza con gli assunti della “sociologia partecipata”, presenta una interessante esperienza di auto-progettazione della “cura di un luogo” da parte di gruppi socialmente definiti come “marginali”. L’interessante articolo di Sergio Teglia è dedicato, invece, ad uno dei temi che più di altri, anche se meno discusso, interessa l’attuale sistema di relazioni sociali: la solitudine. Quasi mai cercata, e sempre dolorosa, la solitudine – soprattutto, ma non solo, delle persone anziane – è uno dei connotati specifici del nostro tempo. Mentre Emiliano Bandini affronta il mondo degli smartphone, mettendone in evidenza la capacità di produrre dipendenza. Conclude la parte monotematica l’intervento di Aldo Carlo Cappellini che invita alla cura del corpo come antidoto alle dipendenze artificiali che ci ammorbano. La sezione varia umanità propone i contributi di Roberta Stefanelli che evidenzia il tema della crisi della famiglia durante una separazione. Giacomo Boncompagni, invece, propone una riflessione sociologica su Terrorismo e Comunicazione. Segue una riflessione di Sabrina Gatti sul tema dei graffiti metropolitani che stanno cambiando radicalmente il panorama delle città. Cecilia Massai Mariani si intrattiene, con acribia critica, sulle pagine “nascoste” di “Malombra “, il grande romanzo di Fogazzaro. Segue Emanuela Ferrigno che nel suo articolo evidenzia l’importanza della relazione tra ecologia umana e urbana. Massimilano Gianotti, invece affronta quello che appare, attualmente, il tema sociale più importante: il femminicidio e i suoi rapporti con i sistemi relazionali delle famiglie. Martina Paolini propone una riflessione sulla utilizzazione delle “notizie negative” nei media. Dopo un interessante intervento di Pietro Zocconali sul cambiamento della percezione del tempo, chiude il numero un articolo di Andrea Spini sulla crisi della politica.
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