Possiamo sicuramente definire la nostra come società dell’apparenza
tanto più oggi nella post modernità. Quello che abbiamo davanti è
un sistema stratificato con ruoli sempre più stereotipati, variegati e
complessi socialmente imposti, anche se alcuni di essi ci danno sicurezza
e ci guidano nel labirinto della quotidianità. Erving Goffman sociologo
canadese propose nel suo lavoro del 1959, La vita quotidiana come rappresentazione
di utilizzare la metafora drammaturgica per comprendere il sistema di relazioni
sociali nei quali siamo coinvolti quotidianamente: come a teatro agiamo sulla ribalta
indossando la nostra migliore maschera che quasi mai, però, corrisponde al volto che
vediamo nello specchio del camerino in cui ci ritiriamo dopo la nostra performance
pubblica. Cosa dedurne? Che le nostre relazioni sociali non sono altro che un gioco
di maschere nelle quali nascondiamo il nostro vero volto? Che il senso e il significato
delle nostre azioni è soltanto l’espressione del fragile equilibrio che continuamente
cerchiamo di mantenere nei nostri rapporti con l’altro? Oppure che maschera e volto
non sono così distanti, che la maschera è il nostro volto? Noi non vediamo mai il volto
dell’altro, come l’altro non vede mai il nostro. Solo attraverso le improvvise e inaspettate
incrinature delle maschere possiamo sospettare l’esistenza d’altro, ma sarà sempre
con un’altra maschera che avremo a che fare. Nella Grande Rete questo gioco è reso
trasparente: con chi ho a che fare, con un personaggio inventato o con una persona
reale? Le immagini che postiamo o che osserviamo sullo schermo non potranno mai
fornirci la risposta se non pensando che ambedue, chi guarda e chi è guardato, facciano
lo stesso gioco che potremmo definire dell’utile perseguito. In altri termini io e l’altro
perseguiamo dei fini che non dichiariamo apertamente ma lasciamo che emergano
dalle immagini che utilizziamo. La ragione di questi comportamenti è da ricercare nel
rischio che non vogliamo correre di rivelare qualcosa di noi che confligge con il ruolo
pubblico che interpretiamo. Così a stento riconosciamo il nostro medico nella persona
che allo stadio urla verso l’arbitro o contro la squadra avversaria oppure il professore
con il quale abbiamo appena sostenuto un esame è difficilmente identificabile nel
personaggio intabarrato con sciarpe e cappelli della squadra del cuore oppure, e
ancora, chi è quel signore che sta prendendosi a male parole con un altro automobilista?
Stentiamo a riconoscere in lui il nostro vicino di casa sempre così cortese ed educato.
Eppure sono sempre loro, stanno semplicemente interpretando un ruolo diverso da
quello cui siamo soliti associarlo. Appunto, di questo gioco complesso e affascinante in
cui siamo coinvolti, in cui – di volta in volta – siamo maschere o personaggi, persone o
volti, parleremo durante la XIII edizione di” Dai un senso alla vita rispettala!” che si terrà a Pistoia nel mese di Maggio 2019 organizzata dal nostro Dipartimento regione Toscana
A.N.S. (Associazione Nazionale Sociologi).
Intanto gli argomenti trattati in questo numero della rivista che, come al solito, dopo il
nucleo monotematico vedrà la presenza di sapienti articoli tenuti dai nostri esperti.